Smart working, il punto di non ritorno

Abbiamo superato il “giro di boa” dei sei mesi dall’inizio della pandemia. Che ha significato, per la quasi totalità dei lavoratori dipendenti, il semaforo verde per quello che potrebbe essere in molti casi un punto di non ritorno: lo smart working o lavoro agile.

Un modello organizzativo che da “emergenziale”, per molte imprese potrebbe trasformarsi in “strutturale”. E, in questo senso, siamo arrivati al momento clou. Dal 15 ottobre, infatti, il datore di lavoro non potrà più imporre lo smart working ma dovrà siglare specifici accordi come previsto dalla legge n. 81/2017 che disciplina, appunto, il lavoro agile. Il 15 ottobre è il giorno, infatti, in cui termina la normativa emergenziale che, per ragioni di necessità, consentiva di “bypassare” gli accordi previsti per legge, generando chiaramente tutta una serie di criticità dovute al mancato coordinamento tra l’avvio dello smart working e il mutamento dell’organizzazione aziendale nella direzione di una maggiore flessibilità.

Da più parti, infatti, si è parlato di “forma distorta di lavoro agile”, “home working” o “telelavoro”. Il 15 ottobre rappresenta quindi una data chiave per una serie di motivi: come emerso da una recente survey Aidp (Associazione italiana dei direttori del personale) due aziende su tre continueranno con lo smart working anche dopo l’emergenza. Perché hanno effettivamente riscontrato vantaggi in termini di tempo risparmiato, minori costi di spostamento, soddisfazione dei dipendenti e miglioramento del work-life balance. Ma la domanda è: posto il fatto che siamo di fronte a una “nuova normalità” anche per quanto riguarda il lavoro agile, la legge n. 81 del 2017 è ancora adeguata? Probabilmente no, dato che lo stesso governo sembra andare nella direzione di una nuova normativa “contestualizzata”.

Anche perché si aprirà la stagione degli accordi collettivi o individuali. Una rivoluzione che vede protagonisti gli avvocati giuslavoristi, in campo con i direttori del personale delle aziende per dare vita a modelli virtuosi di smart working, in grado di raggiungere quello che può essere considerato l’equilibrio “paretiano”: conciliare le esigenze dell’impresa con quelle dei lavoratori, che spesso vanno in direzione opposta. Come fare per raggiungerlo è raccontato nell’indagine che trovate in questo numero di Le Fonti Legal, dove abbiamo coinvolto i maggiori studi legali con dipartimenti labour strutturati e le cosiddette “boutique” di diritto del lavoro.

E quello che è emerge è che siamo di fronte a una sfida che riguarderà la quasi totalità di aziende e lavoratori: i datori di lavoro dovranno abbandonare il vecchio modello di controllo “fisico” dei dipendenti, dando loro la possibilità di lavorare davvero da ovunque e con orari flessibili, valutando la prestazione esclusivamente sulla base di obiettivi e risultati. I dipendenti, a loro volta, hanno sulle spalle la responsabilità di mantenere, o addirittura alzare, il livello di obiettivi e risultati da remoto.

Una rivoluzione, dunque, che sarà più strutturata se anche il legislatore saprà cogliere questa sfida.

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